Sugli infortuni con l’utilizzo di laser

Tratto da Punto Sicuro

Nell’ottobre del 2008 il Dr. L.D. “lavorava con un laser Ne-Yag di Classe 4ª, della potenza di 50 mJ, impulsato (durata impulso 10 ns), con lunghezza d’onda di 1.064 nm” (nanometri, unità di misura corrispondente a un milionesimo di millimetro).
In particolare per la dinamica dell’esperimento “il raggio, con una percorso in campo libero, doveva entrare in una cuvetta di quarzo contenente un liquido con nanoparticelle, collegata con un oscilloscopio che leggeva il segnale”.
Durante l’esperimento il lavoratore ha utilizzato dei dispositivi di protezione individuale (occhiali) “adeguati alla lunghezza d’onda del laser”, tuttavia “poiché non riusciva a leggere il segnale dell’oscilloscopio, istintivamente ha abbassato gli occhiali e ha rivolto lo sguardo verso la cuvetta”.
A questo punto “a causa di un fenomeno di riflessione speculare, il raggio laser penetrava nell’occhio destro del lavoratore”.
Il posto di pronto soccorso dove il lavoratore è stato successivamente e prontamente accompagnato ha emesso una diagnosi di “OD – maculopatia emorragica fototraumatica… edema marcato del polo posteriore con distacco siero-emorragico centrale”. Il caso verrà poi trattato presso l’Ospedale oftalmico di Roma ove si riferiva: “… vede macchia oscura al centro di OD con riduzione del visus… FOD emovitreo, edema retinico al polo posteriore con probabile fotocoagulazione centrale”.
Nella comunicazione, che vi invitiamo a visionare, sono presenti diverse immagini (retinografia, OCT, fluoroangiografia, …) e ulteriori informazioni sugli accertamenti successivi all’incidente.
Il documento sottolinea che la riflessione, per le caratteristiche della cuvetta, “è stata pari al solo 4% dell’energia totale del raggio; quindi il danno è stato prodotto da un’energia di soli 2 mJ; va inoltre osservato (elemento favorevole in questo caso) che parte della radiazione ottica di quella specifica lunghezza d’onda (1.064 nm) viene assorbita dall’acqua e quindi dall’umor vitreo, ben diverso sarebbe stato se si fosse trattato di un laser nel visibile particolarmente nel blu che avrebbe traversato completamente le strutture oculari”.
La prevenzione
La comunicazione al congresso SIMLII indica che la “focalizzazione di un raggio laser sulla retina, soprattutto a causa della notevole collimazione dello stesso, presenta una geometria totalmente diversa da qualunque altra immagine, determinando appunto una focalizzazione puntiforme con conseguente concentrazione dell’energia ceduta”.
Inoltre quando una radiazione luminosa, e quindi anche un raggio laser, “colpisce la superficie di un corpo reale (corpo grigio), essa è in parte assorbita in parte riflessa ed in parte trasmessa”. Ad esempio se un fascio luminoso “incide una superficie liscia di acciaio si forma un raggio riflesso ben definito, mentre se arriva su di un foglio di carta la luce viene riflessa più o meno in tutte le direzioni (riflessione diffusa). La differenza tra riflessione diffusa e speculare trova la sua ragione nel concetto di ruvidità delle superfici”.
Generalmente le superfici perfettamente lisce “riflettono in modo speculare, quelle perfettamente rugose si comportano come riflettori lambertiani, ovvero la direzione di riflessione è indipendente da quella di incidenza. Normalmente le superfici reali non si comportano né da superficie perfettamente speculare né da superficie perfettamente lambertiana ma si comportano in modo intermedio”.
 
Tra le pubblicazioni presentate da PuntoSicuro relative alla prevenzione di questa tipologia di incidenti, una affronta l’utilizzo in sicurezza degli apparati laser nei luoghi di lavoro.
Nella scheda prodotta dall’Inail/ex Ispesl  – intitolata “ Apparati laser in ambienti di lavoro: utilizzo in sicurezza” e curata dal Dott. Carlo Grandi (Inal/ex Ispesl) – si ricordano le diverse tipologie di rischio in relazione ai rischi da laser:
rischio da radiazione ottica: un rischio che “riguarda esclusivamente i due distretti corporei direttamente raggiungibili dalla radiazione ottica, ossia l’apparato oculare e la cute”. Tipologia e entità dell’eventuale effetto dipendono, “oltre che dal tessuto considerato, dalla lunghezza d’onda del laser, dalla potenza, dalla modalità di emissione in continuo o a impulsi, dal tempo di esposizione”. Ad esempio a livello di occhi si possono avere lesioni della retina (fenomeni di focalizzazione del fascio radiante), ustioni (laser a infrarossi), cheratiti e cataratta (laser UV) e discomfort visivo. Riguardo alla cute “i rischi sono riconducibili a ustioni (laser a infrarossi), cancerogenesi (laser UV) e fotosensibilizzazione”;
rischio di tipo elettrico: sono presenti nei laser a “maggior potenza, che richiedono la presenza di correnti a tensione e intensità elevate”. La presenza del rischio può dipendere da diversi fattori, ad esempio da un imperfetto isolamento o da “eventi accidentali che causano traumi meccanici al dispositivo”;
rischio di esplosioni e incendi: legato “all’irraggiamento accidentale di substrati infiammabili o esplosivi con laser di potenza”;
rischio tossico: può dipendere dall’apparato laser medesimo, ad esempio da “perdite dei liquidi criogenici utilizzati per la refrigerazione dei laser di potenza durante il funzionamento” e da produzione di prodotti di combustione “per irraggiamento accidentale o deliberato di materiale organico e/o biologico”.
Riportiamo infine alcune indicazioni di ordine generale che, “soprattutto per i laser appartenenti alle classi di maggior pericolosità”,  possono essere un riferimento idoneo per le attività di prevenzione e protezione:
– “ove possibile, il dispositivo laser deve operare in condizioni di confinamento fisico;
– per i laser montati in posizioni fisse: sistema di spegnimento automatico di sicurezza;
– il laser deve rimanere acceso unicamente durante l’uso;
– accensione con sistema a chiave;
– i dispositivi laser, specie se di potenza, devono essere sottoposti a manutenzione periodica;
– rispetto delle istruzioni fornite dal costruttore;
– locale provvisto di segnaletica;
– nel caso di laser di potenza, accesso consentito alle sole persone autorizzate e impedito alle altre tramite l’installazione di barriere fisiche (come porte a codice magnetico);
– impianti a norma, requisito ancora più stringente se si è in presenza di laser di potenza;
– ricambio dell’aria (rimozione degli inquinanti aerodispersi eventualmente prodotti dal laser);
– presenza di sistemi di aspirazione localizzata in caso di formazione di sottoprodotti volatili;
– assenza di superfici riflettenti o loro rimozione dal cammino ottico del fascio radiante;
– assenza di materiali infiammabili o esplosivi o loro rimozione dal cammino ottico del fascio radiante;
– lavoratori adeguatamente istruiti sui rischi connessi all’uso delle apparecchiature laser, sui comportamenti idonei e sulle misure di prevenzione e protezione;
– lavoratori dotati, in funzione della classe di appartenenza del laser e del rischio valutato, di dispositivi di protezione individuale per l’occhio e, se necessario, per la cute (occhiali, guanti per i laser UV, guanti e tute in materiale ignifugo durante l’utilizzo di apparati di potenza);
– in accordo con i principi generali di tutela del lavoratore sulla base dell’art. 218 del D.Lgs. 81/2008 e in relazione ai risultati della valutazione del rischio messa in atto della sorveglianza sanitaria per gli addetti all’utilizzo di sistemi laser”.
“ Un recente infortunio con un laser Ne-Yag. Modalità di accadimento ed esiti” e a cura di A. Stanga (AIRM – Roma) e G. Campurra (ENEA Centro Ricerche Frascati), comunicazione al 73° Congresso Nazionale SIMLII “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”, pubblicata in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXII n°4/suppl.2, ottobre/dicembre 2010 (formato PDF, 293 kB).
Questa voce è stata pubblicata in Normativa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.