Bergamo: ferita in bici, non è infortunio. L’Inail: «Doveva andare in bus»

Da L’Eco di Bergamo

Cittadini rispettosi dell’ambiente, attenzione. Andare al lavoro con la
bicicletta potrebbe non essere una buona idea, soprattutto in caso di
infortunio. Non lo è stato di certo per Gabriella Barcellini, residente a
Loreto, 56 anni, amante del ciclismo e dell’aria aperta. La sua colpa?
Avventurarsi sulla pista ciclabile sotto casa con le due ruote per
raggiungere il posto di lavoro e cadere accidentalmente.  L’11
marzo scorso Barcellini prende la bicicletta
per percorrere i pochi
chilometri che la separano dal centro città, dove lavora, come ogni
mattina da oltre trent’anni a questa parte. Mattina sfortunata, però,
perché la ciclista perde il controllo del mezzo e si ritrova a terra con
una rotula fratturata. Cinquanta giorni per «infortunio in
itinere», è la prognosi del pronto soccorso. Peccato che l’Inail non le
riconosce l’infortunio e i circa due mesi che la ciclista trascorre a
casa diventano quindi periodo di malattia, con una conseguente
decurtazione dello stipendio di circa 15 euro al giorno.

Il
motivo? «Il mezzo utilizzato non era necessitato», fanno sapere dalla
sede di Bergamo dell’Istituto nazionale infortuni sul lavoro. Ovvero: il
percorso Loreto-centro città è servito dai mezzi pubblici che passano
con orari compatibili all’entrata e all’uscita dal lavoro di Barcellini.
Quindi, per arrivare nell’azienda in cui opera, la signora non doveva
necessariamente utilizzare un mezzo privato (la bicicletta in questo
caso, ma lo stesso discorso vale per l’auto, il motorino, ecc.).

«Non
capisco per quale motivo dovrei utilizzare i mezzi pubblici anziché
muovermi in bici – commenta Barcellini -. Ho una bella pista ciclabile
proprio sotto casa che in dieci minuti mi permette di arrivare in
centro, contro i 30-40 minuti dell’autobus, dati gli orari di punta in
cui mi muovo. Non inquino, evito il traffico e non affollo ulteriormente
i mezzi già gremiti da studenti e lavoratori. Inoltre, risparmio oltre
300 euro, i soldi dell’abbonamento annuale, faccio movimento e ho una
migliore qualità della vita. Perché dovrei andare in autobus?».

«Perché
la signora si espone a un rischio voluto – spiega Maria Aurelia Lavore,
direttore provinciale dell’Inail Bergamo -. Se una persona può arrivare
sul posto di lavoro grazie ai mezzi di pubblico servizio,
compatibilmente con gli orari e le distanze in questione, usando un
mezzo privato fa una precisa scelta e va incontro ai rischi che essa
comporta».

Con qualche eccezione, però: «In base al Decreto
legislativo 38 del 2000 si stabilisce che l’assicurazione opera anche
nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato,
cioè nel caso in cui – continua Lavore – il dipendente, per esempio,
deve entrare e uscire dal posto di lavoro in orari poco compatibili con
il servizio pubblico, come gli infermieri che lavorano durante il turno
di notte. Oppure se l’abitazione del lavoratore e la fermata
dell’autobus sono distanti tra loro o ancora se il posto di lavoro è
talmente vicino alla residenza da poterci andare a piedi».

Dopo
la brutta caduta e il referto del pronto soccorso, anche l’Inail, come
da prassi, si è mosso con i propri test. «In questi casi mandiamo sempre
due moduli da compilare, uno al lavoratore, l’altro all’azienda, per
capire tutti i dettagli del caso – ci spiega Lavore -. Se la lavoratrice
non ritiene giustificata la nostra decisione può sempre fare
opposizione e chiedere all’Inail di verificare nuovamente l’accaduto,
presentando ulteriori dettagli utili». «È quello che intendo fare – ci
fa sapere la ciclista -. Non rinuncio ai miei diritti, così come non
lascerò a casa la mia bicicletta».

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