Un’analisi di Carlo Soricelli
”Dal 1 gennaio 2008, dopo la tragedia della Thyssenkrupp di Torino in cui morirono bruciati vivi sette operai, ho dedicato buona parte del mio tempo libero all’Osservatorio Indipendente di Bologna per monitorare i morti sul lavoro in Italia. In poco tempo di raccolta dei dati delle vittime come la loro attività, età, luogo dell’evento, mi sono accorto della disinformazione e del pressapochismo con i quali vengono affrontate queste tragedie da parte di tutti gli organi competenti e dell’informazione. Sul fenomeno ci sono molti luoghi comuni e purtroppo anche tanti interessi economici.
Dal mio osservatorio privilegiato posso affermare, documenti alla mano, che non è affatto vero che i morti sul lavoro stanno calando, solo tra il 2008 e il 2009 abbiamo registrato un leggero calo mentre nel 2011 l’aumento è stato dell’11,5% rispetto al 2010 e l’anno scorso sono stati superati sui luoghi di lavoro addirittura i morti del 2008.
Nel 2011 sono morti sui luoghi di lavoro oltre 650 lavoratori, più di 1100 aggiungendo quelli deceduti sulle strade e in itinere; 139 agricoltori sono morti schiacciati dal trattore e in questa categoria si supera il 30% di tutti i morti sul lavoro se si considerano anche altre cause di decesso per infortunio. Quando penso a queste morti mi viene una grande rabbia. Basterebbero pochi lavori mirati sulla cabina dei vecchi trattori senza protezioni, che impediscono al guidatore di essere sbalzato fuori in caso di manovra errata, per salvare la maggior parte degli agricoltori. Purtroppo il nostro Parlamento è impegnato in cose ben più importanti della tutela dei propri cittadini. Occorrerebbe anche sottoporre ad una vista medica d’idoneità alla guida ad una certa età: i trattori sono “mostri” che non perdonano il più piccolo errore e il territorio in gran parte collinare del nostro paese con i riflessi poco pronti sono componenti micidiali.
Un’altra categoria che paga un prezzo elevatissimo di sangue è l’edilizia. La maggior parte degli edili muore cadendo dall’alto ed a morire sono quasi tutti stranieri o meridionali, anche nei cantieri del centro-nord. Le vittime lavorano in piccole e piccolissime aziende dove è difficile vedere indossare anche il casco. Gli stranieri morti per infortuni sul lavoro sono oltre il 13% del totale. Questi poveri lavoratori spesso non parlano l’italiano e non conoscono neppure le più semplici norme di autotutela. In questo caso occorrerebbe l’obbligo di frequenza a corsi sulla sicurezza e un esame d’idoneità prima di impiegarli in lavori pericolosi. Qualche volta è l’artigiano proprietario dell’impresa a morire per infortunio.
Noto spesso, da parte di chi ha altri interessi, il tentativo di scaricare sui lavoratori la responsabilità delle tragedia. Ma il proprietario o il superiore che spesso lavora con la vittima è responsabile della sua integrità fisica ed ha l’obbligo di far indossare le protezioni, pena anche il licenziamento degli inadempienti. Ma ciò, oltre ad avere un costo, rallenta i lavori e quindi si preferisce trascurare l’aspetto della sicurezza per accelerare i lavori e aumentare il margine di guadagno.
I morti nelle fabbriche sono intorno al 10% sul totale: anche nell’industria, come nei cantieri, a morire sono soprattutto lavoratori di aziende artigiane, dove il sindacato non è presente. Nei grandi cantieri e nelle fabbriche dove c’è un responsabile della Sicurezza le morti per infortuni si contano sulle dita di una mano, nonostante gli addetti siano milioni. Numerosi sono anche i morti nei servizi all’impresa. Spesso si ha un controllo molto efficace sulla sicurezza tra i dipendenti, ma nessuno tra i lavoratori esterni e gli artigiani chiamati a svolgere lavori di manutenzione.
Purtroppo anche quest’anno assistiamo ad un numero elevatissimo di morti, siamo già ad oltre 150 dall’inizio dell’anno solo sui luoghi di lavoro, e oltre 300 contando i decessi sulle strade e in itinere. Le statistiche ufficiali ci dicono che anche il 2011 è stato “migliore” del 2010, con un calo dei morti sul lavoro ripetto al 2010 di oltre il 4%, cosa non vera, anche sui morti sul lavoro si tira la coperta dove fa più comodo.
C’è da chiedersi come mai l’Osservatorio Indipendente di Bologna registra molti morti in più, mentre le statistiche ufficiali mediamente il 15% in meno tutti gli anni. Su questo punto occorre fare la massima chiarezza. Il calo dei morti per infortuni sul lavoro registrato dalle statistiche ufficiali, ma non dall’Osseravtorio è sulle strade e in itinere, ma non sui luoghi di lavoro, e questo non per una migliore prevenzione, ma per merito di automobili tecnologicamente più sicure che per fortuna vengono comprate anche dai lavoratori una volta rottamate le vecchie.
Questo significa che in realtà i controlli sui posti di lavoro sono diminuiti e i morti aumentati, e che nessuno può esultare per un risultato positivo che non esiste.
L’Osservatorio Indipendente di Bologna segnala come morti sul lavoro tutti i lavoratori che muoiono mentre lavorano, indipendentemente da chi sono, dal lavoro che svolgono e dalla loro posizione assicurativa.
L’INAIL probabilmente considera morti sul lavoro solo i suoi assicurati: non sono assicurati all’INAIL i tantissimi agricoltori che muoiono in tarda età e già pensionati che rimangono schiacciati dal trattore, chi lavora in nero, i militari ecc. Non sono inseriti tra le vittime i contenziosi, fino alla conclusione del processo che quasi sempre dura anni. In pratica noi registriamo tutti gli anni oltre un centinaio di morti sui luoghi di lavoro in più. I morti sul lavoro in “nero” meritano un approfondimento particolare, spesso sono lavoratori sfruttati da terzi. Qualche volta ci sono anche tentativi di far passare l’infortunio mortale come una disgrazia avvenuta altrove.
Ma in diversi casi sono la faciloneria e l’improvvisazione le causa della morte di tanti che lavorano in “nero”. Ad esempio spesso accade che si chiamino parenti, amici e conoscenti “esperti” per fare lavori di potatura di alberi che poi travolgono i malcapitati, oppure ci si improvvisa muratori e si cade dai tetti, oppure guidando trattori come già evidenziato in precedenza, e si potrebbe continuare con innumerevoli altre situazioni.
Chi commissiona questi lavori non si rende conto delle gravissime conseguenze a cui va incontro in caso d’infortunio mortale.
Come si evince il fenomeno è molto complesso e con molte sfaccettature. Tra pochi giorni ci sarà il 1° maggio, il giorno di festa dei Lavoratori, ma credo che ci sia poco da festeggiare. Un governo classista, non eletto dai cittadini, appoggiato da partiti di destra, di centro e di sinistra, ha preso misure a senso unico per risanare il paese: è stata bloccata la contingenza sulle pensioni superiori a 100 euro, stravolta la normativa sull’Articolo 18 che rende più facili i licenziamenti senza giusta causa, reintrodotta una tassa sulla prima casa e triplicata quella per le seconde, una tassa che non distingue tra chi possiede una casetta di montagna ereditata dai genitori e chi ha decine d’appartamenti in affitto e che scaricherà l’aumento sugli inquilini.
Per il 10% degli italiani che hanno visto aumentare la ricchezza a dismisura in questi ultimi anni non è stata introdotta nessuna patrimoniale. Ma la misura che più fa arrabbiare è il notevole allungamento dell’età per avere i requisiti per andare in pensione, non facendo nessuna distinzione tra chi svolge lavori faticosi e pericolosi e chi lavora con un computer.
Lavorare fino a 65 anni ed oltre, con riflessi poco pronti e non in perfetto stato di salute, nelle fonderie, nelle officine, sui tetti o alla guida di un trattore provocherà un forte aumento delle morti sul lavoro e questo accadrà con la colpevole complicità di quasi tutti i nostri parlamentari.