Il funerale di Pietro Mirabelli c’è sabato alle tre e mezzo a Pagliarelle (KR).
E’ morto il 22 settembre Pietro Mirabelli in galleria in Svizzera. Un masso si è staccato dal fronte mentre una squadra lavorava con il jumbo. È morto in ospedale nel Canton Ticino per troppe lesioni interne. Aveva di recente lavorato per un breve periodo alla Toto a Barberino, dopo il periodo di cassaintegrazione in seguito alla chiusura dei lavori dell’Alta Velocità. Aveva infatti lavorato dal 2000 in CAVET dove era stato RLS, RSU fino alla conclusione dell’opera. Pietro era un minatore calabrese, era un lancista, quello che sparava cemento al fronte della galleria, che aveva lavorato in una miriade di cantieri, per le grandi opere, per la velocità e il benessere del Nord, mentre a Pagliarelle, nella sua terra, dovevi fare quindici minuti di macchina per raggiungere la prima edicola. Mai prima di lui ho conosciuto qualcuno che ha fatto della dignità del lavoro una propria insostituibile missione. Un testardo dei diritti che ultimamente era rimasto ferito da questa Italia, dalla sua politica, dai sindacati e se ne era andato in Svizzera anche e soprattutto per questo. Pietro era un figlio d’arte, come lui stesso si definiva. Il padre è morto di silicosi in seguito al lavoro di galleria. Pietro, anche se non ci credeva, era riuscito però a infrangere un silenzio sulla condizione dei minatori moderni e aveva conosciuto e incontrato una miriade di persone, coinvolgendo tutti nella sua battaglia a partire dal quarto turno e dalla sicurezza. Aveva anche fatto incontrare la comunità montana del Mugello e quella del Crotonese e il monumento nella piazza sui caduti al lavoro a Pagliarelle frutto dell’incontro di due terre, lo si deve a lui. Aveva letto le lettere dei condannati a morte della resistenza per scrivere la frase che sta impressa sotto quell’uomo di bronzo che accecato dalla luce esce dalla galleria fatta di pietra serena di Firenzuola, da quel suo Mugello a cui ha dato tanto, persino il nome della via di casa sua, ai piedi della Sila.
Ora, non venitemi a parlare di cultura della sicurezza, perché Pietro ne era l’essenza. Non ci crediamo che sia potuto succedere a lui proprio perché lui ha lottato contro tutto questo per tutti gli altri, per tutti noi. Non riesco ad aggiungere molto, sono stata indecisa se scrivere e cosa scrivere, ma alla fine mi sono detta, zitta no. Zitti non possiamo stare. Dobbiamo informare e far girare la notizia, fra quelli che lo conoscevano, fra quelli che conoscono la sua storia, fra quelli che non lo conoscono. Pietro era un uomo e un simbolo di lotta, di quelle rare che sembrano non esistere più. Le morti sul lavoro restano sotto lo zerbino di case vuote e lasciano un dolore lacerante che ti toglie il fiato. Ti toglie l’anima se a morire è Pietro.
Simona Baldanzi
Simona,
hai proprio ragione: Le morti sul lavoro restano sotto lo zerbino di case vuote e lasciano un dolore lacerante che ti toglie il fiato. Ti toglie l’anima se a morire è Pietro.
non puoi immaginare con che stato d’animo, da cittatino, da amico e da cronista
sto per andare a Pagliarelle per il funerale di Pietro. Occorrerebbe che questa morte, la sua morte, non fosse vana. ma quest’augurio ce lo siamo fatti troppe volte per riuscirci a credere….