Il danno biologico non è indennizzabile nel caso degli infortuni mortali.
Con questa decisione la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’INAIL contro i figli di un lavoratore deceduto a distanza di 13 ore da un infortunio in itinere, i quali avevano chiesto,
come eredi, la liquidazione del danno biologico per la morte del padre. Secondo la Corte di Cassazione,
il danno da perdita della vita (danno tanatologico) non rientra nella
nozione di danno biologico accolta dall’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro, perche’ la nozione fa riferimento alla "lesione
dell’integrita’ psico fisica" dell’infortunato, il cui indennizzo va
valutato in relazione all’eta’ del lavoratore al momento della
guarigione.
Se la lesione dell’integrita’ si conclude con un
esito letale che interviene immediatamente dopo o a poca distanza di
tempo dall’evento lesivo, il danno biologico non e’ configurabile, dal
momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del
diritto alla salute ma incide su un diverso bene giuridico, che e’
quello della vita. Ma la perdita del bene della vita e’ intrinsecamente
connessa alla persona del suo titolare e il relativo risarcimento del
danno e’ fruibile solo in natura dal soggetto e da nessun’altra
persona. La funzione propria del risarcimento, di riparazione del
danno, non puo’ operare quando la persona ha cessato di esistere e non
puo’ quindi essere fatta valere dagli eredi. Nel formulare la sentenza,
la Corte ha tra l’altro ricordato un’altra pronuncia della Consulta in
base alla quale, in caso di morte che segua le lesioni dopo breve
tempo, la sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo
spegnersi della propria vita e’ autonomamente risarcibile agli eredi
non come danno biologico ma come danno morale. Cio’ purche’ la vittima
sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va
esclusa la risarcibilita’ del danno morale quando all’evento lesivo sia
conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta
lucida nella fase precedente il decesso.
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Con il Decreto del 27 marzo 2009 del Ministero del Lavoro, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 120 del 26 maggio 2009, sono aumentati dell’8,68% gli indennizzi in capitale e le rendite INAIL da danno biologico. A guardare gli aumenti sulla tabella di rivalutazione, pubblicata sul sito dell’Anmil (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro): c’è di cui vergognarsi, perchè questi sono aumenti da “fame” per gli invalidi del lavoro, considerando che l’Inail ha un tesoretto”, depositato per intero presso la Tesoreria dello Stato, che ammonta ad oltre 13 miliardi di euro, e che l’Inail ogni anno ha un avanzo di bilancio di quasi due miliardi di euro (per il 2009 è previsto un avanzo di bilancio di oltre 1,5 miliardi di euro).
Invece di usare questi soldi per ripianare i debiti dello Stato, si potrebbe aumentare im maniera consistente le rendite da fame agli invalidi del lavoro.
Vale la pena fare qualche esempio.
Intanto bisogna specificare quando si ha diritto all’indennizzo, cioè solo quando l’invalidità è almeno del 6%, altrimenti niente, mentre si ha diritto alla rendità, solo quando questa è almeno del 16%.
Se ad esempio è del 15%, si ha diritto all’indennizzo sotto forma di capitale. Per chi rimane paraplegico (disautonomia motoria del tronco, degli arti inferiori con anche danno genito-urinario), l’Inail riconosce un invalidità del 85%.
Perdita bilaterale degli arti superiori (amputazione di entrambi gli arti superiori con eventuale sofferenza dolorosa del moncone), l’Inail riconosce un invalidità del 85%.
Perdita bilaterale della mano, l’Inail riconosce un invalidità del 75%. Perdita totale di coscia per disarticolazione coxo-femorale, a seconda dell’applicazione di protesi efficace, l’Inail riconosce un invalidità che va dal 45 al 60%.
Perdita del piede, l’Inail riconosce un invalidità del 30 %,.
Perdita dell’avampiede, a seconda del livello, l’Inail riconosce un invalidità fino al 20%.
Sono quasi 30 mila i lavoratori che ogni anno rimangono invalidi sul lavoro, che molte volte devono “battagliare” con l’Inail per vedersi riconosciuti i propri diritti e ottenere una rendita in seguito a infortunio (una studio realizzato da Ires-Cgil e dalla Fillea Cgil, dice che un lavoratore su cinque ha dovuto aprire un contenzioso con l’Inail)
L’iter per il riconoscimento dell’invalidità è un percorso fatto di continui esami, valutazioni, ricorsi, visite mediche e raccolte di documenti secondo una logica simile a quella del tribunale, che a volte fa sentire il lavoratore come implicato in un processo. Il 24 giugno 2009 l’Inail ha presentato alla Camera dei Deputati, il Rapporto Annuale 2008 sugli infortuni sul lavoro.
Secondo l’Inail, sia gli infortuni sul lavoro, che quelli mortali sono diminuiti nell’anno 2008: per quanto riuguarda gli infortuni mortali, siamo passati da 1207 del 2007, a 1120 del 2008, invece per gli infortuni sul lavoro, siamo passati dai 912419 del 2007, agli 874.940 del 2008.
L’Inail non prende minimamente in considerazione il fatto, che nel 2008 c’è stata la più grossa crisi finanziaria dal secondo dopoguerra ad oggi, e che molto probabilmente questo calo dipende da questo.
Inoltre, come ho detto sempre, questi dati vanno presi con le “molle”, perchè anche se i dati Inail sono un punto di riferimento, con cui tutti dobbiamo confrontarci, non sono “oro colato”. Nel Convegno Inca-Cgil che si è tenuto a Roma il 24 giugno 2009 (proprio il giorno di presentazione del Rapporto Annuale Inail), dal titolo “Il lavoro offeso”, dove è stata presentata la ricerca Ires-Cgil e Fillea Cgil, è venuto fuori quello che molti pensano da anni, cioè che i dati ufficiali, cioè quelli dell’Inail, non danno una rappresentazione reale del dramma. Tanto per cominciare c’è una parte di infortuni che sfuggono, perchè vengono denunciati come malattia o fatti passare come incidenti avvenuti fuori lavoro.
Anche Franca Gasparri della Presidenza dell’Inca Cgil è convinta di una sottovalutazione del problema degli infortuni: “noi sappiamo -spiega- che il 30% degli infortuni sul lavoro che avvengono in Italia, non vengono dichiarati come tali e poi c’è una sottostima del problema delle malattie professionali. La ricerca -aggiunge- affronta il problema della solitudine “forte”, della cesura che avviene ogni volta che un infortunio o una malattia professionale colpiscono un lavoratore”.
Raffaele Minelli, Presidente delI’Inca-Cgil, ha detto che ” gli infortuni sul lavoro sono molti di più, si potrebbe addirittura raddoppiare il dato INAIL, perchè spesso gli incidenti non vengono denunciati e il sistema delle tutele e degli indennizzi così come quello del controllo e della prevenzione è del tutto indadeguato”. L’Inail piuttosto che fornire statistiche incoraggianti sul dramma degli infortuni e delle morti sul lavoro, dovrebbe pensare più che altro, a indennizzare adeguatamente gli infortunati sul lavoro.
Marco Bazzoni-Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze.