Lavorano spesso con poche tutele,
affittano assieme ai propri connazionali appartamenti vecchi e
sovraffollati, sono mal retribuiti, ma nonostante le condizioni
di vita talvolta disagevoli la metà di loro giudica
«soddisfacente» la loro retribuzione e la collocazione sociale
raggiunta in Italia. Giovani, con età media al di sotto dei 40
anni, guadagnano poco più di mille euro al mese, destinando però
spesso oltre metà del proprio salario all’affitto, ma non si
lamentano eccessivamente della busta paga. È questo il ritratto
della comunità romena che vive nella Provincia di Roma, oltre
92mila persone, il 28% del totale degli stranieri residenti nel
territorio provinciale, tratteggiato nel libro «Accogliere gli
immigrati», edito da Carocci, realizzato da Barbara Ghiringhelli
e Sergio Marelli nell’ambito di un progetto gestito dal Focsiv.
Il volume raccoglie il risultato di un’indagine sull’inclusione
socio-economica dei migranti in Italia, proponendo percorsi di
integrazione virtuosa di immigrati, con interviste e
testimonianze, e comprende anche un approfondimento specifico
sulla crescita della comunità romena a Roma e provincia a
seguito dell’ingresso della Romania nella Ue. Una comunità di
lavoratori quella descritta dal volume, composta per il 52% da
donne, impiegate soprattutto come badanti e assistenti
familiari. Gli uomini invece trovano lavoro prevalentemente nel
settore edile. Fortemente dediti al lavoro, il 78% risulta
occupato, ma poco tutelati a livello contrattuale: secondo il
volume, solo uno su tre ha un contratto e la crisi sta
accrescendo il ricorso al lavoro nero da parte delle imprese.
Secondo le stime Inail, relative al 2007, poi, uno straniero su
quattro deceduto nei cantieri edili è romeno. L’impiego in
mansioni dequalificate per i romeni che vivono in Italia dipende
spesso anche dalla difficoltà a farsi riconoscere i titoli di
studio acquisiti in patria o a certificare le esperienze
lavorative maturate prima di arrivare in Italia. Infine,
nonostante le difficoltà nel rapporto tra italiani e romeni nate
a seguito di alcune vicende di cronaca avvenute negli ultimi
mesi, la maggior parte di loro ha un’opinione «positiva» degli
italiani.
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Ho 64 anni lavoro presso una coop.soc.onlus.sono un rls.Posso solo dire che, a compimento dei 65 anni,di continuare a lavorare in cooperativa.Anche perche’mi sento di continuare a dare il mio contributo in qualita’di R.L.S.[c’e’ molto ancora da fare]. Non mi pesa e ne sono fiero di poter essere ‘testardo’,nel formare ‘coscienze culturali’ ai lavoratori.
Le persone/lavoratrici e lavoratori provenienti da altre nazioni,sono piu’ propense a seguire le direttive in tema SICUREZZA.
Tutto sta’ all’impresa.
La base culturale deve partire da noi.Imporre il DIRITTO ALLA SALUTE e’una PREROGATIVA e la si deve difendere.La mia SOLIDARIETA’ va’ a tutte/i coloro che manifestano a loro volta medesima solidarieta’ attraverso il FARE.