Il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio esprime le seguenti valutazioni sulla sentenza emessa il 27-3-2009, al termine del processo per la morte di Claudio Cerantola, operaio deceduto per mesotelioma pleurico, malattia contratta a seguito dell’esposizione all’amianto, durante la sua attività lavorativa.
In primo luogo riteniamo che la lotta sostenuta fin dal 2004, anno della morte di Claudio, per ottenere giustizia abbia sortito il notevole risultato di veder riconoscere che la morte di Claudio è dovuta a malattia contratta sul lavoro.
E’ questo un significativo passo in avanti ed il risultato della mobilitazione che in questi anni abbiamo mantenuto per costringere l’opinione pubblica all’attenzione sul tema delle morti da lavoro, in particolare per malattie professionali.
L’importanza di questo riconoscimento ufficiale, cozza tuttavia tremendamente con le assoluzioni di due dei datori di lavoro di Claudio e la lievità delle condanne per gli altri due datori di lavoro: a fronte dei 10 anni di reclusione complessivamente richiesti dal PM, il giudice ne ha comminati uno, cioè un decimo.
Pur costretto al riconoscimento che la morte di Claudio era dovuta alla mancanza di norme di sicurezza nel posto di lavoro, il tribunale di Bassano, una volta di più, chiude occhi ed orecchi e si schiera dalla parte dei padroni.
Questa sentenza ci indigna ed ci offende e siamo certi che in successivi gradi di giudizio riusciremo ad ottenere la giustizia che la memoria di Claudio rivendica.
Non la fatalità, ma l’aumento dello sfruttamento e il peggioramento delle condizioni di lavoro, sono la causa principale degli infortuni e delle morti sul lavoro e di lavoro (ogni anno, in Italia, muoiono, secondo i dati ufficiali, circa 1300 persone). Unici responsabili: i padroni che risparmiano sui sistemi di sicurezza. Complici: la magistratura che li assolve e i politici che propongono e approvano leggi che alleggeriscono i controlli e le pene.
Noi non deleghiamo a nessuno la difesa dei nostri diritti: la nostra battaglia è politica, prima ancora che legale. Siamo semplici cittadini, operai, lavoratori e pensionati privi di cognizioni giuridiche, ma ci risultano incomprensibili i motivi per cui a queste tragedie sul lavoro non seguano delle pene esemplari. Coloro che erano a conoscenza della nocività dell’amianto per la salute umana sono responsabili e come tali devono pagare.
Ai lavoratori vogliamo ricordare che con la lotta si possono imporre condizioni di sicurezza nel lavoro, in modo che altri non debbano patire quello che altri lavoratori, come Claudio, hanno sofferto e questo è un motivo in più per combattere.
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa
Bassano del Grappa, 5 aprile 2009