Eppoi non si può dire che sono assassini

Giovedì 13 dicembre il comitato nomortilavoro alle ore 18 si incontra
al centro sociale ex snia (via prenestina 173) a Roma per concordare le iniziative da intraprendere.

Quando un essere umano muore per malattia o per vecchiaia ci si
muove ad una naturale pietà verso colui che, magari anche soffrendo a
lungo, è scomparso. Non ci si può appellare alla colpa di nessuno, fa
parte della condizione umana.
Ma quando gli esseri umani sono costretti, per vivere e per far vivere
i loro familiari, ad attività lavorative disagiate e che comportano
rischi più o meno alti, in condizioni di sicurezza carenti o del tutto
assenti, le colpe – e che colpe – sono facilmente e sicuramente
attribuibili.
Le migliaia di morti sul lavoro, a volte con vicende veramente orrende
e terrificanti come quella della fonderia di Torino dei giorni scorsi,
che invadono quotidianamente le cronache, non sono frutto del fato o
dell’imprudenza dei lavoratori che operano in certi settori.


Esse sono la più diretta e logica conseguenza della concorrenza
capitalistica come si è sviluppata in questi anni, basata tutta su una
competitività esasperata e ricercata sui bassi costi e sulla assenza di
investimenti “improduttivi” (così qualcuno giudica le spesa sulla
sicurezza).
Mano d’opera malpagata e ricattata con lo spettro del licenziamento,
costretta a turni massacranti, forzatamente silenziosa rispetto alla
mancanza del rispetto delle norme e dei diritti che potrebbero rendere
la produzione più sicura e meno disumana.
Questo tipo di competitività è ovviamente accreditata ed avallata
continuamente da politici, sindacalisti, giornalisti, giuslavoristi
come parametro chiave per valutare lo sviluppo di una società
economicamente avanzata.
Se la ricerca della produzione al più basso costo è scientificamente
cercata e perseguita anche con l’abbassamento delle spese per la
sicurezza, è ovvia la conclusione che le morti sul lavoro che ne
costituiscono la conseguenza sono dei veri e propri crimini.
Anzi, sono un vero e proprio genocidio, perché le cifre ufficiali
parlano di 1500 decessi, 39000 invalidi e un milione di infortuni e
sono dati certamente al ribasso, perché se comprendessero anche il
“sommerso” sarebbero sicuramente più gravi.
Eppure, mentre il Parlamento ed il Governo si affannano sulle
espulsioni dei rom, nulla si dice e nulla si fa per realizzare una
benché minima punizione per i datori di lavoro che persistono, in
grande numero, a fregarsene altamente delle norme e continuano ad
arricchirsi sulle sofferenze e sulle mutilazioni di chi si trova
costretto a lavorare sotto le loro grinfie.
Manifestiamo la nostra indignazione contro questo ceto politico e
sindacale che, non riuscendo e non volendo governare il paese contro
gli interessi di questi criminali di imprenditori e contro le loro
malefatte, trova naturalmente più semplice e più utile a costruire il
consenso menare fendenti sulle popolazioni dei migranti come i rom, i
lavavetri, i senza casa, i precari, i tifosi, i comunisti ecc. ecc.
Occorre unirci per esprimere tutta la nostra rabbia e per lottare
contro questo modello di società che produce precarietà, insicurezza e
guerre.

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