Ires: un infortunio su tre sotto i 35 anni

Da Rassegna.it

Nel 2009, in Italia, un infortunio sul lavoro su tre ha coinvolto un lavoratore sotto i 35 anni (precisamente, l’Inail ne ha registrati 262.233) così come un morto sul lavoro su tre (questo dramma riguarda 295 giovani morti sul lavoro in un anno e le loro famiglie). In cinque anni, tra il 2005 e il 2009, 44.478 lavoratori sotto i 35 anni hanno subito un danno permanente a causa di un incidente sul lavoro, ossia un’invalidità che li segnerà per il resto della loro vita. E proprio i giovani hanno il tasso infortunistico più elevato: secondo le nostre elaborazioni si registrano 5,06 infortuni ogni 100 occupati per chi ha fino a 34 anni e 3,72 infortuni ogni 100 occupati per chi ha più di 34 anni.
Sono dati che spiegano come i giovani, oltre a dover subire difficoltà occupazionali e la dequalificazione all’interno dei processi produttivi, vivono anche il dramma poco rilevato delle difficili condizioni di lavoro. Condizioni che hanno un impatto negativo sul loro stato di salute, comportando un malessere fisico e psicologico.

L’Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali) ha svolto una ricerca sulle condizioni di lavoro dei giovani – finanziata dal ministero del Lavoro – che sarà pubblicata a breve dalla casa editrice Ediesse. Oltre a condurre un’analisi delle statistiche ufficiali, sono stati intervistati mille lavoratori sotto i 35 anni, di diversa tipologia professionale e contrattuale, su tutto il territorio nazionale, tramite un questionario telefonico. Dalla ricerca emerge il vissuto reale dei giovani al lavoro. L’obiettivo è quello di fornire degli elementi di riflessione sulla questione generazionale, per individuare i fattori di rischio e contribuire a orientare gli interventi delle istituzioni e delle parti sociali.

Spesso, si giustifica il rischio per la salute dei giovani lavoratori con la loro minore esperienza. È doveroso precisare che questa argomentazione non trova nessuna giustificazione nella legge, che prevede che la tutela sia massima per tutti attraverso un’adeguata prevenzione. D’altra parte, proprio la ricerca dell’Ires dimostra che la dura realtà del lavoro per i giovani è la ragione primaria della loro elevata esposizione ai fattori di rischio.

Osservando il carico da lavoro dal punto di vista fisico, dalle interviste emerge che molti giovani lavorano sotto sforzo e in situazioni di rischio. È insomma smascherata la retorica di una generazione che fugge dal lavoro di fatica: più di un giovane lavoratore su tre solleva carichi pesanti o fa degli sforzi fisici considerevoli (35,2%); quasi un giovane lavoratore su cinque ammette di lavorare in condizioni di effettivo pericolo (17,8%).

Considerando il carico di lavoro dal punto di vista organizzativo, emerge l’elevata intensità dei ritmi di lavoro che caratterizza sia le mansioni operaie che quelle concettuali: circa due lavoratori su tre hanno un ritmo di lavoro eccessivo (60,5%); la metà del campione lavora con scadenze rigide e strette (il 48,0%) e non ha abbastanza tempo per svolgere il lavoro (47,5%).

I risultati rilevano anche il ridotto margine di autonomia dei giovani, nonostante un aumento dei contratti a progetto che invece promettevano di garantirlo. Due lavoratori su tre non possono scegliere o cambiare i metodi di lavoro (64,2%) e questa costrizione è più forte, paradossalmente, per chi ha un contratto di collaborazione occasionale o a progetto (per il 65,7% di loro) piuttosto che per chi ha un tempo indeterminato (55,4%) svelando come la flessibilità favorisca più la subordinazione che l’autodeterminazione. Del resto, più della metà dei collaboratori non può nemmeno cambiare la velocità con cui svolge il lavoro (55,6%) o scegliere con una certa libertà i turni di lavoro (54,7%) e nemmeno decidere quando prendere i giorni di ferie (57%), due su tre non possono cambiare i metodi di lavoro (65,7%) e nemmeno cambiare l’ordine dei compiti assegnati (70,7%), uno su cinque non può nemmeno prendere una pausa quando ne ha bisogno (20,6%). Dunque, in molti casi, la precarietà si traduce in un vero e proprio sfruttamento. Nel complesso, un lavoratore su quattro non può prendere una pausa quando ritiene di averne bisogno (il 24,8%) e ben più di un lavoratore su tre sostiene di svolgere il lavoro che spetterebbe ad altri (il 41,7%).

Considerando l’espressione delle capacità individuali, osserviamo che i giovani sono scarsamente valorizzati: un lavoratore su cinque dichiara che i meriti e le competenze sono poco o per nulla considerate nel posto in cui lavora (21,2%) e solo il 14,9% sta in un posto che utilizza al meglio le sue capacità. Dentro un presente difficile per molti, anche le prospettive del futuro tendono ad essere nere: per quasi due lavoratori su tre non c’è nessuna possibilità di carriera nel posto in cui lavora (58,2%) e per molti aleggia lo spettro del licenziamento (uno su tre, il 35,4%, è preoccupato di perdere il posto di lavoro).

Questi risultati spingono a riflettere sulla reale situazione del mondo del lavoro giovanile. Da un lato c’è il ricatto occupazionale provocato da una disoccupazione crescente, ormai al 30% secondo l’Istat, a cui è da aggiungere la forte presenza di lavoro irregolare, un fattore rilevante se consideriamo che dei nostri intervistati il 40% dichiara di avere lavorato senza contratto almeno una volta nella vita. Dall’altro lato, quello “fortunato” di chi ha un lavoro con un contratto, ci sono tanti giovani più o meno qualificati che operano spesso in condizioni di fatica e di pericolo.

Queste difficili condizioni di lavoro si traducono in difficili condizioni di salute, tanto da provocare malesseri fisici e psicologici che caratterizzano una parte rilevante delle nuove generazioni. Tra i molti problemi di salute che abbiamo rilevato, osserviamo che quasi un lavoratore su tre soffre di mal di schiena (30,4%) e un lavoratore su tre soffre di stress, depressione, ansia o ha problemi di insonnia (34,4%) a causa del proprio lavoro.

La ricerca mostra che la questione generazionale non riguarda solamente il problema noto dell’accesso al lavoro ma anche l’altra faccia della medaglia: le condizioni reali nelle quali il lavoro è svolto. La sofferenza sul lavoro è un elemento drammaticamente presente in molte biografie giovanili ed il lavoro è troppo spesso un vettore di sfruttamento piuttosto che uno strumento capace di favorire la tutela, l’emancipazione individuale e la promozione sociale.

Più in generale, l’analisi della condizione giovanile aiuta a comprendere non solo le specificità di una precisa classe generazionale ma anche le tendenze generali dell’epoca contemporanea, che comportano delle nuove sfide per affermare la dignità dei lavoratori. Per questo, è urgente capire come costruire un modello di sviluppo efficace e coerente, che miri ad elevare la qualità complessiva dei processi di lavoro italiani, per coniugare la competitività delle aziende con il benessere dei lavoratori.

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