Egregio direttore, ho 55 anni e sono un tecnico d’industria che dopo una carriera lavorativa onesta e dignitosa lunga tutta una vita mi ritrovo al momento a far parte della schiera dei disoccupati. Da quando entrai (nel 1973, ancora minorenne) nella prima delle diverse fabbriche metal-meccaniche presso le quali sono stato impiegato fino ad oggi, ho maturato oltre 38 anni di contribuzione che tuttavia, stante la continua manipolazione della normativa in materia, non mi consentono di soddisfare i requisiti minimi per accedere ad un trattamento pensionistico.
Sono mio malgrado anche una persona malata, afflitta da tempo da una grave patologia cronica ormai degenerata in modo irreversibile anche se non ancora in fase terminale. La commissione medica ASL ha ritenuto questa mia patologia invalidante per l’85% e comunque tale da compromettere seriamente sia l’aspettativa di vita che la qualità stessa di ciò che mi resta da vivere.
Con un quadro clinico e lavorativo così deprimente, senza più alcun mezzo di sostentamento se non i miei pochi risparmi mi son trovato costretto a richiedere all’INPS il riconoscimento della mia inabilità al lavoro così da ottenere un trattamento pensionistico anticipato o in alternativa di un sussidio d’invalidità. Inutile dire che mi sono stati negati entrambi perché pur riconoscendo la gravità della mia malattia questa attualmente non sarebbe tale da “…compromettere completamente le capacità lavorative del richiedente per il tipo di professione da lui esercitata…”.
In poche parole io sarei, sì, gravemente malato ma siccome faccio l’impiegato tecnico sono ancora in grado di lavorare in quanto la mia attività professionale è fisicamente poco provante. Come se, data la carenza di offerta di lavoro sul mercato e la mia veneranda età io fossi ancora in grado di trovarmi un’occupazione inerente alla mia professionalità e non costretto, per sopravvivere, a ripiegare su un mestiere qualsiasi.
Ovviamente la questione ha preso la via giudiziaria ma mi chiedo (e Le chiedo) perché nel Paese dei mille privilegi e delle mille eccezioni si debba trattare come un furbacchione, come un parassita, come un approfittatore una persona malata che dopo una vita di lavoro vive nella più totale indigenza. Veniamo ogni giorno annichiliti dalla propaganda di Stato che ci rammenta il disastro dei conti pubblici, anche se poi sono mantenute tutte le condizioni di assoluto privilegio ad appannaggio della casta politica e delle mille categorie
lavorative beneficiate dal nostro sistema previdenziale pubblico. Ci raccontano di allungamento dell’aspettativa di vita degli italiani senza dirci nulla della gente che muore quotidianamente sui cantieri, sui posti di lavoro, sulle autostrade.
Possibile che lo Stato italiano abbia bisogno di un così grande sacrificio da parte mia da non potermi riconoscere nemmeno il necessario per vivere? E’ giusto quanto mi sta accadendo? Chiudo ponendo altre domande alle quali mi piacerebbe che qualcuno potesse dare una risposta.
Per esempio: qual è la percentuale di persone alle quali viene riconosciuto un trattamento pensionistico anticipato? Qual è la percentuale di maschi che muoiono entro i primi dieci anni da quando gli è stata riconosciuta un tale trattamento o una pensione d’invalidità? Qual è la percentuale di maschi che muoiono in attesa della conclusione di un iter legale per il riconoscimento di un trattamento pensionistico anticipato o di una pensione d’invalidità?
Cordialità. Mauro M. – Sabato 22 Gennaio 2011 – 21:40